L’abito tradizionale di Amato

L’abito tradizionale del paese di Amato (situato in provincia di Catanzaro), il cosiddetto vestito da pacchiana, è stato in uso fino a circa 10 anni fa, erano rimaste in poche a indossarlo. Si trattava di  alcune signore molto anziane che l’hanno indossato sino al giorno della loro morte.

Storia dell’abito tradizionale

Fino ai primi decenni del Novecento, invece, tutte le donne e le ragazze non usavano altro vestito se non quello tradizionale. Poi con il passare del tempo, la diffusione delle mode e l’avvento dell’emancipazione femminile, le giovani generazioni hanno progressivamente abbandonato l’uso dell’abito tipico, anche perché si rivelava scomodo e poco adatto per andare a scuola o a lavorare negli uffici. Ma, prima che arrivassero gonne, pantaloni, maglie, camicie e cappotti, l’unico tipo di abbigliamento ritenuto adatto per ragazze e donne era appunto l’abito tradizionale.

Le parti dell’abito tradizionale di Amato

Esso era composto da molti elementi. Eccoli di seguito:

Schema dell’abito tradizionale di Amato (Cz).

  • Mandile/Velo

  • Cammisa/Camicia

  • Scuoddhu/Colletto grande della camicia

  • Jippùne/Gilet con le nocche/nastri

  • Pannu/Sottogonna

  • DubriettuGunnedda/Gonna

  • Fhadile/Grembiule

  • Mancale/Scialle con le frange

  • Fhascia/Sciarpa-Foulard

  • Calze scure/nere

Al di sotto del mandile-velo i capelli erano acconciati in due trecce avvolte e appuntate ai due lati della testa con delle forcine. Quando si andava a messa la testa doveva essere rigorosamente coperta e il dubriettu-gonna veniva sciadato, ossia aperto, sciolto.

Il dubriettu-gonna era fatto di un tessuto particolare, di colore blu scuro, plissettato. Per una sola gonna servivano circa 7 metri di stoffa, poiché il tessuto veniva lavorato in modo da ottenere decine di pieghe strette e fitte che consentivano una maggiore agevolezza di movimenti sia nella camminata che nella danza. L’orlo della gonna era messo in risalto da una doppia fascia: quella esterna aveva una fantasia a quadri, mentre quella interna una fantasia floreale: quando la gonna veniva raccolta, questa interna veniva messa in risalto. Le due fasce erano cucite rispettivamente lungo il bordo esterno e interno del dubriettu, ma a differenza del resto della gonna non avevano le pieghe. Queste davano al dubriettu un effetto visivo molto bello, quando le donne camminavano accompagnavano i movimenti dei loro fianchi e, quando facevano le giravolte durante i balli, la gonna si apriva formando una ruota.

Generalmente la si portava raccolta in una coda, per rendere più facili i movimenti e poter svolgere in maniera più agevole i lavori domestici e di campagna; ma quando ci si recava in chiesa, la gonna veniva sciolta in modo da coprire il pannu-sottogonna e la camicia. Ciò veniva fatto in segno di rispetto verso il luogo sacro, poi al termine della messa le donne raccoglievano di nuovo i dubrietti. La gonna veniva sciadata solo in chiesa e quando si ballava (era difficile ballare con la gonna raccolta in una coda, inoltre la gonna sciolta era necessaria per le ‘mosse’ del ballo), durante il resto del tempo la si teneva raccolta.

Schema dell’abito tradizionale di Amato (Cz).

La cammisa-camicia era la sottoveste di colore bianco e aveva ricami a intaglio sullo scuoddhu/colletto e sulle maniche; in alcuni casi la camicia era priva di maniche, difatti esse erano cucite a parte e venivano aggiunte quando ci si vestiva. Le donne più ricche e benestanti ne avevano diverse paia, ricamate e decorate in modi differenti, e le indossavano a seconda delle occasioni (quelle più semplici per tutti i giorni, quelle più ‘particolari’ per le feste).

Lo jippùne era una sorta di gilet di colore scuro (blu o nero) portato sopra la cammisa, si annodava sul petto con dei lacci incrociati (come un corpetto) e aveva delle maniche su cui erano applicate le nocche, ossia dei nastri colorati (generalmente in tinte vivaci quali rosso, argento, oro, blu).

La fhascia-sciarpa si metteva attorno al collo ed era fissata con una spilla allo jippùne; essa veniva ricamata con fantasie floreali ed era adoperata per riporre chiavi, fazzoletti e soldi, in mancanza di una borsa o di un cesto.

Il fhadile era un grembiule, nei giorni di festa si usava quello ricamato (spesso abbinato alla fascia), mentre per tutti i giorni se ne usava uno più modesto e semplice, più pratico da lavare e ‘sistemare’ in caso di macchie e strappi.

Il mancale-scialle aveva le frange ed era usato per coprirsi dal freddo in inverno, mentre in estate lo si portava su un unico braccio, per ‘abbellimento’, come accessorio, quando ad esempio ci si recava a messa. Quello invernale era fatto di lana, mentre quello estivo era in seta.

Il pannu-sottogonna era lo strato intermedio tra la camicia e la gonna vera e propria. Poteva essere di diversi colori: bordeaux se la ragazza/donna era nubile; rosso se era sposata e nero in caso di vedovanza. Dunque quest’indumento rifletteva lo status sociale di chi lo indossava e serviva anche come ‘segnale di avvertimento’ per eventuali corteggiatori:

  • bordeaux = “via libera” (si poteva tentare un approccio con la ragazza);

  • rosso = “stop” (attenzione è già sposata);

  • nero = vedova.

Al di sotto della cammisa, tutte le donne indossavano le calze, rigorosamente di colore scuro, alcune le portavano dalle ginocchia fino alla caviglia e il piede restava nudo.

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In foto, Angelina Fiorentino indossa l’abito della festa.

Per quanto riguarda le calzature, bisogna dire che un tempo si indossavano scarpe basse, non décolleté con il tacco alto, in genere le donne avevano ai piedi le tappine (usate tutti i giorni, ad esclusione della domenica); mentre di domenica e nei giorni di festa venivano indossate delle scarpe con un tacco basso, più eleganti delle tappine.

Tipologie di abito tradizionale

Ogni donna aveva più di un vestito: c’era quello semplice, economico, per tutti i giorni, adoperato per le faccende domestiche e per i lavori in campagna; poi c’era quello per la festa, decorato e ricamato, generalmente indossato la domenica per andare a messa e nelle altre occasioni festive; quello per il matrimonio, di colore più chiaro, bianco o crema con dettagli azzurri sulle nocche-nastri; e infine quello del lutto, simile a quello della festa ma in tinte più scure (maniche, nocche, velo, grembiule erano tutti di colore nero), che veniva indossato quando moriva un parente (se si trattava di un parente molto stretto come il marito o un figlio, il lutto durava sino alla fine della vita della donna).

Realizzazione di un abito tradizionale

Abito_tradizionale_di_Amato_Usi_e_Costumi_delle_Calabrie

In foto, Angelina Fiorentino indossa l’abito della festa.

Confezionare un abito tradizionale era un processo lungo e complesso: servivano tessuti adatti per le varie parti, persone che sapessero tagliare e cucire i vari pezzi di stoffa e altre in grado di ricamarli e decorarli, mediante il telaio o l’intaglio fatto con la macchina da cucire.

I vestiti erano realizzati completamente a mano: tagliati, cuciti, ricamati e decorati da alcune donne del paese, tra cui Felicia Graziano e Maria Graziano, per quanto riguarda ricamo e intaglio; Fortunata Ciccone (detta Natuzza), Peppina Ciccone e Angela Spada, per quanto riguarda il taglio delle stoffe e la cucitura dei vari pezzi del costume. Solo due di loro sono ancora in vita, ma a causa dell’età e di problemi di salute, non lavorano più.

Inoltre, al giorno d’oggi, è difficile reperire le stoffe e i tessuti adeguati. Dal momento che nessuna donna indossava più gli abiti tradizionali, nel corso del tempo si è perso anche l’uso di confezionarli e, venendo meno la domanda, i produttori di stoffe hanno smesso di produrre quelle necessarie per i vestiti da pacchiana e le sarte hanno cominciato a cucire abiti ‘moderni’.

*Si ringrazia la Signora Angelina Fiorentino per le informazioni e le foto forniteci. 

Le informazioni presenti in questa pagina web sono state raccolte da Carmen Morello, volontario del Servizio Civile UNPLI per l’anno 2019/2020, nell’ambito del progetto regionale “Usi e costumi delle Calabrie”

Le immagini, le foto e i video presenti in questa pagina web sono state gentilmente fornite ed appartengono ad Angelina Fiorentino e Carmen Morello.

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